Il “Buongiorno” di Feltri dà la buonanotte agli allevatori

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A uso di coloro che non hanno avuto modo di leggere su «La Stampa» del 24 novembre il Buongiorno di Mattia Feltri, riportiamo una sintesi del contenuto in cui l’autore spiega che la carne sintetica, ultimo ritrovato della scienza che la Food and Drug Administration ha licenziato tra gli alimenti autorizzati per il consumo umano, «non si produce in alambicco con zampe di rana e occhi di serpente, ma in laboratorio coltivando cellule animali», da cui il titolo ‘zampe di rana’ dato al pezzo giornalistico.

L’autore vede in questo alimento di sintesi un’alternativa alla carne ottenuta dagli animali, dando la possibilità di «chiudere i lager che sono gli allevamenti intensivi […] consumare meno acqua […] sfamare due milioni di bambini che ancora ogni anno muoiono per malnutrizione», limitandoci a citare i punti che hanno suscitato la nostra reazione.

 

Rubrica dal contenuto assai puntuto, ma raramente sbilanciato, il Buongiorno, da osservatorio degli umani costumi, quale è sempre stato, con questa uscita diventa testimone dell’umana ignoranza. Ignoranza, ben inteso, da interpretare in quel significato letterale e tutt’altro che offensivo che descrive lo status più che legittimo di chi non sa qualcosa.

Status che diventa però illegittimo quando chi non sa qualcosa ne parla o peggio ancora ne scrive, dispensando pericolosi quanto superficiali astrattismi scientifici. Circostanza che emerge dalle considerazioni scritte circa l’ipotetica, e chissà quando realizzabile, carne di sintesi.

 

Chi pensa o, peggio ancora, scrive che questa sarà la soluzione per sfamare i bambini che ancora oggi muoiono di fame ignora la differenza tra la coltura delle cellule e quella delle patate e le rispettive differenze in termini economici. Ignora anche che, ammesso che possa decollare, finirebbe nelle mani di qualche multinazionale che, non producendo pannolini, dei bambini se ne infischia.

Chi esulta all’idea che «si potranno chiudere i lager che sono gli allevamenti intensivi», ignora che i più grandi allevamenti intensivi sono nelle mani di quelle stesse multinazionali che, pertanto, riusciranno a far fronte alla concorrenza della fettina in provetta, e ne saranno pure complici. Vi soccomberanno invece quelli che vivono di una produzione sostenibile che oggi sono i più numerosi, come quantità di imprese, e i meno importanti come quantità di animali.

Chi crede che vivremmo in un mondo migliore se non ci fosse la zootecnia, ignora il fatto che in quel mondo non ci sarebbero più i prati, a meno di affidarne la manutenzione a una schiera di giardinieri, non prima di aver potenziato le isole ecologiche per raccogliere gli sfalci. Ignora anche il fatto che in montagna i pascoli verrebbero invasi dai rovi, con buona pace degli escursionisti, ammesso che la degenerazione paesaggistica non li porti a preferire i campi da calcio (rigorosamente di erba sintetica). Ignora anche che il dissesto idrogeologico, con le relative conseguenze, è figlio dell’abbandono e che sulle sole montagne del Piemonte ogni anno salgono a pascolare 165.000 bovini. E per i rispettivi allevatori non è una vacanza.

 

Noi ignoriamo quale potrà essere la qualità della carne in provetta, a quali forme di cottura si presterà, in quali forme si presenterà nel piatto per cui non ci mettiamo a scrivere che segnerà la fine della nostra gastronomia. Noi ignoriamo quale sarà la reazione del consumatore di fronte a un cibo cresciuto in laboratorio, rigorosamente sempre uguale, per cui non ci mettiamo a scrivere che potrà essere visto come una mostruosità. Ma noi conosciamo il mestiere dell’allevatore, vediamo il risultato della sua presenza sul territorio e sappiamo che cosa significherebbe rottamarne la figura. Se questa perdura da 10.000 anni ci saranno dei motivi, che qualcuno forse ignora.

Nessuno può fermare il mondo; noi vorremmo soltanto evitare che diventi monopolio dei grandi gruppi industriali e delle banche che li sorreggono. La scienza deve andare avanti e l’essere riusciti, oggi, a moltiplicare il tessuto muscolare è un successo che merita il plauso e che fa sperare che un domani ci si riesca anche con quello nervoso, aprendo nuove frontiere per la medicina.

La scienza è una pianta generosa, ma non sempre i semi migliori stanno nei frutti più belli: sta a noi sceglierli, ed è qui che l’apparenza inganna.

 

Coalvi – Consorzio di tutela della Razza Piemontese
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