Carpaccio: un nome, un prodotto?

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L’usanza di mangiare la carne cruda tagliata a fette sottili è radicata da tempo immemore nella cultura culinaria del Piemonte. Regione che poteva contare su una razza bovina, la Piemontese, le cui carni presentano le caratteristiche ideali per essere consumate senza cottura. Fu probabilmente la fama gastronomica delle Langhe a legare il nome di questa preparazione alla sua cittadina più famosa, chiamandola “all’albese”, divenuta ben presto più semplicemente “albese”.

 

Non ci sono motivi per credere che il termine “albese” potesse offendere qualcuno né che potesse destare contrasti campanilistici tali da portare i cittadini di Asti a rifiutarne il consumo pur di non dover pronunciare il nome della città rivale. Sta di fatto che oggi si usa chiamarlo anche “carpaccio” sposando un termine che pare sia nato a Venezia per battezzare sostanzialmente lo stesso piatto. Se non fosse che il reato di plagio riguarda l’abuso di nomi e marchi e non la replica di ricette prive di brevetto, la voglia di invocarlo sarà certamente venuta in mente a qualche cuoco piemontese.

 

Pare che il nome “carpaccio” sia stato coniato da un barista (tale è il titolare di un bar), tal Giuseppe Cipriani,   proprietario dell’Harry’s Bar di Venezia.

 

Giuseppe Cipriani fu colui che inventò il celebre cocktail Bellini. Quel nome gli venne in mente vedendone il colore, simile a quello dei tramonti raffigurati nei quadri di Giovanni Bellini. La stessa logica lo portò a battezzare con il nome di Vittore Carpaccio, pittore veneziano del quindicesimo secolo, il piatto di carne tagliata a fette sottili e condita con maionese leggera sgocciolata sulla superficie. Il contrasto tra il rosso della carne e il giallo chiaro, quasi bianco, della maionese ricordarono al fantasioso barista le tele di questo pittore e gliene affibiò il nome.

 

Correva l’anno 1950, quando l’albese venne così rivisitata e ribattezzata e da allora il suo nuovo nome è divenuto familiare ma, per nostra fortuna, per lo meno nella sua terra natìa, l’albese non ha risentito di alcuna crisi di identità, e continua con orgoglio a presentarsi col suo nome.

 

Nessuno ha invocato la vendetta per aver fatto proprio, e averne coniato il nome, un modo di consumare la carne che i piemontesi praticano da secoli, tuttavia il destino ha voluto che il nome carpaccio non sia riuscito a legarsi alla carne cruda bensì al modo in cui viene tagliata. Se n’è appropriato infatti il polpo, che non è carne e che per di più è cotto, per il fatto che viene servito a fettine sottili e magari se ne approprierà in futuro anche qualche verdura che si giovi anch’essa di questa presentazione.

 

Anche Coalvi ha fatto la sua parte nell’utilizzo di questo termine con il suo “carpaccio di bresaola”, ma per lo meno è carne cruda, da tagliare sottile e marinata con la stessa tecnica della bresaola: non c’è trucco e non c’è inganno.