Quei pochi nostalgici che non hanno ancora sacrificato l’atlante stradale sull’altare della tecnologia potranno scorrere l’indice alfabetico delle località censite e contare quante, nel Nord Italia, si chiamano Prato o hanno un nome che inizia con questa parola.
Nell’edizione più recente curata da un noto sodalizio italiano a servizio dei turisti, se ne contano più di 60. Se a queste si aggiungono quelle che derivano il nome da dialetti locali, iniziando con “Pra”, il totale sale a oltre 200. Talora il nome Prato, anche al plurale, rimane da solo a battezzare un luogo, talaltra si abbina a un attributo che discende da caratteristiche morfologiche, come Pratolungo o Pratorotondo, o climatiche, come Pragelato (concedendosi l’elisione di una sillaba).
Rimanendo in ambito meteorologico c’è anche chi ha puntato sul marketing turistico, come ha fatto il Comune di Frabosa Sottana quando ha chiosato la nascita di una frazione dedicata agli sport invernali chiamandola Prato Nevoso, a beneficio di un’interpretazione facile e immediata.
Verrebbe da pensare che il toponimo legato ai prati sia figlio di una caratteristica naturale del luogo ed è così, ma solo apparentemente.
Il prato è effettivamente una consociazione naturale di essenze erbacee, ma la sua presenza e il suo perdurare nel tempo dipendono dalla manutenzione assicuratagli dall’uomo.
Un prato che non venga regolarmente sfalciato o pascolato è destinato nel volgere di pochi anni a essere infestato da rovi e da specie arbustive invasive che vi si instaurano irrimediabilmente trasformandolo in una rabberciata boscaglia.
È curioso, al limite dell’autocelebrativo, il fatto che l’uomo arrivi a dare il nome a una località ispirandosi alla presenza di qualcosa di cui egli stesso è l’artefice. Ma l’intervento dell’uomo non è certo fine a se stesso: se non ci fossero i bovini a cui dare il fieno nessuno avrebbe interesse a tagliare l’erba e dunque, per proprietà transitiva, i prati esistono perché esistono i bovini (citati in rappresentanza degli erbivori domestici).
Non di sola erba vivono i bovini, ma quelli di razza Piemontese, specialmente le fattrici, ne fanno l’ingrediente principale della dieta, sia fresca, pascolandola direttamente, sia secca, sotto forma di fieno.
Da quanto ha rilevato il Consorzio di Tutela della Razza Piemontese nel redigere il suo primo bilancio di sostenibilità, il 46% della superficie agricola condotta dalle aziende associate è coperta da prato o da pascolo.
Nell’ambiente in cui viviamo i prati rivestono ruoli diversi, ma tutti di importanza rilevante. Da un punto di vista ecologico il prato è uno scrigno di biodiversità per la flora e per la fauna, in particolare per gli insetti. In esso convivono in armonia diverse specie botaniche che si sviluppano in sequenza seguendo l’andamento delle stagioni e concorrendo a una produzione foraggera che non richiede trattamenti con agrofarmaci, né per il diserbo selettivo né per la lotta ai patogeni. Non esistono fasi in cui il terreno venga rivoltato o messo a nudo e questo scongiura qualsiasi fenomeno di erosione: tenuto conto che quasi la metà delle aziende di Piemontese è distribuita tra collina e montagna, questo non è un dettaglio da poco. Per chi si occupa di protezione civile, un pascolo ben gestito, così come un prato sfalciato a dovere, è un alleato prezioso nel trattenere la neve sui versanti più ripidi, evitando che scivoli a valle trascinando con sé quello che incontra lungo il tragitto.
Ci sono dei prati divenuti famosi per la loro estensione e per il contesto in cui si trovano, come quello di Cogne in Valle d’Aosta.
Qui, se anche non ci fossero gli allevatori, il Comune potrebbe permettersi di pagare dei giardinieri per sfalciarlo regolarmente, trattandosi di una risorsa turistica che porta ricchezza, ma è un’eccezione. Se il prato, in generale, non avesse una sua funzione ecologica non ci sarebbe neanche motivo di mantenerlo nei parchi cittadini, sostenendo costi ingenti per tagliare regolarmente l’erba, a meno di trovare la collaborazione degli allevatori a cui affidare lo sfalcio, come avviene in quelli più estesi.
Coloro che ritengono di portare vantaggio all’ambiente sostituendo le produzioni zootecniche diversificando quelle vegetali non facciano d’ogni erba un fascio. C’è una zootecnia che vive di erba e merita rispetto, se non vogliamo un futuro in cui fare d’ogni rovo un groviglio.
Coalvi – Consorzio di tutela della Razza Piemontese
© Tutti i diritti sono riservati all’autore