Il gesso che stride sulla lavagna è musica in confronto a certi neologismi che inquinano con prepotenza il nostro lessico quotidiano.
È abbastanza normale che esistano delle espressioni originali, talora bizzarre, ma usate tra le mura domestiche a esclusivo uso dei relativi ospiti. È invece deprecabile che a utilizzare parole inventate a capocchia siano le nostre Istituzioni o, peggio ancora, i personaggi appartenenti alla classe politica; quella stessa classe politica che a partire dalla convergenze parallele di Aldo Moro ha perso il significato di guida culturale del Paese, diventando sempre più spesso espressione della sua superficialità.
Il primo cedimento significativo abbiamo iniziato a vederlo nei locali pubblici, compresi i musei che, per la loro ragion d’essere, dovrebbero preservare la cultura dall’assalto di qualsivoglia prurito innovativo. Il fatto che una porta utilizzabile come uscita di sicurezza venga controllata da un sistema di allarme è più che legittimo ma il ricordare tale circostanza definendola “allarmata”, per la pigrizia di non scrivere “controllata da sistema di allarme”, grida vendetta, oltre a far nascere spontanea la domanda: allarmata da chi?
Il secondo, che più che un cedimento passivo è un attentato alla pubblica decenza fonetica, nasce per mano dei preposti alla sicurezza, messi di fronte alla necessità di segnalare situazioni di possibile pericolo per mancata manutenzione di attrezzature o infrastrutture. Probabilmente per loro era troppo lungo dire, o scrivere, “non soggetto a manutenzione” andando a inventare un cacofonico “non manutentato”, participio passato dell’inesistente verbo “manutentare”. La manutenzione è l’atto con cui si manutiene qualcosa, voce del verbo manutenere, che al participio passato fa manutenuto. Evidentemente chi ha inventato questa alternativa temeva che la forma corretta portasse a pensare a un assegno di mantenimento più che alla fattura di una ditta di manutenzione.
L’ultima in ordine di tempo, ma non certo per gravità, è uscita dalla bocca di un politico genovese, di cui non facciamo il nome per tutela della sua privacy. Intervistato sulla ricostruzione del ponte sul Polcevera (ex ponte Morandi, oggi ponte San Giorgio) ebbe a raccontare che gli operai avevano lavorato a pieno regime, adottando le misure per il contenimento del contagio da Covid-19 e che l’unico caso di positività verso il virus era stato riscontrato su un soggetto che era stato immediatamente “quarantenato”. La moda di coniugare al participio passato un verbo inesistente ha evidentemente infranto la barriera del pudore linguistico contagiando questo politico locale, benché affermato avvocato e come tale maestro di dialettica per antonomasia.
Stendiamo un velo pietoso sull’anglofonia che pervade l’animo italiano, non sempre all’altezza di una pronuncia chiara e corretta e con il rischio, di fatto, di dire Roma per toma (preziosa occasione per rinvangare un’espressione squisitamente nostrana). Un caso per tutti? Il Recovery Fund, letteralmente traducibile in Fondo per la Ripresa, raccontato dai cronisti audiovisivi con la pronuncia di “fund” (= fondo) confusa con quella di “found” (= trovato). Alle orecchie di un Inglese, di cui il principe Carlo è il più dotato ambasciatore, con il Recovery “Found” giunge dunque dall’Italia la notizia di aver trovato la ripresa, quando invece ha solamente ottenuto il diritto di accedere a un fondo per cercare di avviarla. È come dire che il naufrago ha toccato terra, quando invece gli è stato solo dato un salvagente per non annegare subito.
Per rigore giornalistico non possiamo negare come anche la filiera zootecnica sia fucina di neologismi. Prendendo i due anelli estremi, troviamo il macellaio che si inventa il verbo “sottovuotare”, per indicare l’atto di confezionare la carne sottovuoto, e troviamo l’allevatore che esordisce con termini dialettali coloriti, le cui tinte si accentuano quando vengono tradotti in Italiano. Citiamo la più interessante, rinvenibile nella lista degli accessori di una giovane bovina proposta in vendita, che è la caratteristica di essere “muntagnà”. Tradotto alla lettera, vorrebbe dire “montagnata” che, tradotto in prosa, vorrebbe dire che “è già stata condotta al pascolo in montagna e quindi è già avvezza alla transumanza”.
Se l’obiettivo dei neologismi è quello di sintetizzare un concetto altrimenti lungo da descrivere, in questo caso è stato indiscutibilmente raggiunto confermando il pragmatismo degli allevatori.