Scusate se respiro

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Che i bovini emettano gas a effetto serra è un dato di fatto che solo la fantascienza potrebbe smentire. Questo vale per i bovini di qualsiasi razza (compresa la Piemontese) come per tutti i ruminanti, dai camosci ai cammelli, giusto per spaziare dalle Alpi alle piramidi.

 

Il rumine (da cui deriva il nome di questo sottordine di mammiferi) è un bioreattore naturale all’interno del quale lavora un’imponente popolazione microbica che vive demolendo i legami della cellulosa e ricombinando gli amminoacidi per far uscire proteine diverse da quelle entrate. Un esercizio che parrebbe fine a se stesso, se non fosse che porta, come risultato, a rendere digeribile la fibra dei foraggi e a nobilitarne il contenuto proteico a vantaggio del mammifero che lo ospita. Un esercizio che permette all’uomo, nutrendosi di carne e di latte, di assumere elementi preziosi altrimenti non reperibili nei vegetali o, se reperibili, non digeribili.

 

Come tutte le reazioni biochimiche, anche quelle che avvengono nel rumine hanno i loro sottoprodotti che, nello specifico, sono l’anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4) che vengono eruttati ritmicamente dall’animale. In più (e anche qui solo la fantascienza lo potrebbe negare) dalle deiezioni stoccate in letamaia o sparse nei campi si libera protossido di azoto che ha un effetto climalterante 265 volte superiore a quello dell’anidride carbonica.

 

Se ci fermassimo qui, la conclusione sarebbe ovvia e confermerebbe le accuse che, negli ultimi anni, si stanno acuendo contro la zootecnia, ponendola come responsabile dell’effetto serra alla stregua del traffico delle automobili. Ma guardando oltre, come si dovrebbe fare prima di giungere a qualsiasi conclusione e, soprattutto, prima di emettere qualsiasi sentenza, la realtà dei fatti (che, anche qui, solo la fantascienza potrebbe negare) capovolge la situazione.

 

La differenza tra la CO2 emessa da un’automobile e quella emessa da un bovino è sostanziale. La prima è il risultato della combustione di un derivato del petrolio che, a sua volta, è il risultato della fossilizzazione di piante e organismi animali avvenuta nel corso di qualche milione di anni. La seconda – quella del bovino – deriva dal metabolismo dei foraggi di cui si nutre i quali, a loro volta, sono cresciuti assorbendo la CO2 presente in atmosfera grazie alla fotosintesi clorofilliana.

 

Estremizzando i concetti, si può dire che l’automobile libera una CO2 che, se avremo pazienza di aspettare qualche milione di anni ritornerà nei giacimenti fossili laddove il bovino, mentre respira sull’erba che bruca, libera una CO2 che quella stessa erba assorbe per trasformarla in cellulosa di cui si nutrirà quello stesso bovino. Il primo è dunque un ciclo di cui non potremo vedere la chiusura (per quanto l’INPS stia allungando la nostra aspettativa di vita) e che genera un accumulo di gas in atmosfera; il secondo è un ciclo continuo, che ne libera e ne sequestra contemporaneamente.

 

Ma c’è di più, e ce n’è ancora di più nel caso dell’allevamento della Piemontese.

 

Dai calcoli effettuati dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, supervisore scientifico del primo bilancio di sostenibilità prodotto dal Consorzio di Tutela della Razza Piemontese, emerge come la quantità di CO2 emessa dai Fassoni di Razza Piemontese in allevamento sia inferiore a quella assorbita dalla coltivazione dei foraggi di cui gli stessi animali si nutrono. Nel caso delle aziende socie del Consorzio c’è poi un ulteriore elemento che concorre a portare il bilancio in territorio ancor più favorevole: l’elevata disponibilità di terreno, che porta all’esercizio di ulteriori colture che non vengono utilizzate in stalla e che sottraggono all’atmosfera ulteriori quote di anidride carbonica.

 

Dai calcoli effettuati dall’Università risulta che per ogni chilogrammo di accrescimento di un bovino di razza Piemontese (stando alla situazione rilevata nelle aziende iscritte al Coalvi) se ne fissano 14,5 di CO2 prelevate dall’atmosfera, ossia l’equivalente di quella emessa da un’automobile che percorre 120 chilometri.

 

Se la partita della sostenibilità continuerà a giocarsi tra opinionisti, continueranno a vincere i pregiudizi. Ma se vogliamo giocarla coi dati che la scienza ci mette a disposizione, chi ha denigrato l’allevamento bovino collocandolo al vertice della piramide che sfora la cappa di ozono, dovrà chiedere scusa ogni volta che metterà in moto la sua automobile, salirà su un aereo, si imbarcherà su una nave o compirà qualsiasi azione che produca CO2, compreso il respirare.

 

 

Coalvi – Consorzio di tutela della Razza Piemontese
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