Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, nel recensire un trattato di alimentazione composto da un medico olandese nella metà del 1800, scrisse una frase che divenne famosa: “noi siamo quello che mangiamo”.
Non poteva immaginare che questa semplice osservazione diventasse strumento di filosofia popolare. Forse fin troppo popolare, al punto da essere usata per rompere l’imbarazzante silenzio con l’ignoto vicino di tavola, alla stregua del parlare del tempo durante un viaggio in ascensore. E non poteva immaginare, poveretto lui, di passare alla storia solo per quelle cinque parole e non, piuttosto, per il dirompente pensiero filosofico di cui erano la sintesi. Era infatti un ardito pensiero materialista che, ponendo il corpo a supporto della mente, sconvolgeva l’idealismo teutonico dell’epoca.
A ben vedere, già gli antropologi avevano capito come l’alimentazione abbia avuto un ruolo determinante nell’evoluzione dell’uomo; quell’evoluzione che ha interessato tanto il corpo quanto l’intelletto.
Fatta questa premessa, veniamo al periodo, si spera breve, che stiamo vivendo in questi giorni. L’impennata dei prezzi porterà a una contrazione dei consumi e sarebbe plausibile ipotizzare che i primi a essere contratti siano quelli legati a beni o servizi non strettamente necessari. Il traffico che anche quest’anno ha caratterizzato il rientro dalle vacanze scredita un po’ questa ipotesi; segno che se qualcuno ha dovuto fare qualche sacrificio ha stabilito delle priorità che, per ora, vedono le ferie in un’area di esenzione. Scelta condivisibile, in nome del meritato riposo, ma che si spera non abbia posto in secondo piano la necessità di alimentarsi correttamente, con la dovuta attenzione alla qualità di ciò che portiamo in tavola. Quando si parla di carne l’attenzione alla sua origine e alla sua qualità nutrizionale non deve venire meno. Piuttosto se ne ridimensiona il consumo ma se il criterio di selezione si limita al prezzo facciamo del bene al portafogli, ma non a noi stessi. E se vogliamo pensare non solo a noi stessi, vale la pena ricordare cosa c’è dietro alla fettina che mangiamo. Da un punto di vista etico acquistare carne premia i produttori, garantendo loro l’opportunità di continuare a fare il proprio mestiere, e quando quei produttori allevano gli animali in una logica di sostenibilità concreta lo stesso consumatore tutela l’ambiente in cui vive. La zootecnia è alla base di alcuni privilegi di cui godiamo quotidianamente come la manutenzione del territorio, soprattutto quello montano, la varietà del paesaggio, la biodiversità sia botanica sia zoologica, per citare i più importanti. Venendo a giocare in casa, l’allevamento della Razza Piemontese ben si identifica in una zootecnia sostenibile e agli aspetti testè ricordati si aggiunge un ruolo sociale di grande importanza. L’azienda a conduzione familiare, che è la forma che contraddistingue la gestione di questa attività, è una preziosa palestra in cui i ragazzi crescono condividendo il lavoro dei genitori, pronti ad affiancarli e a poi a sostituirli nell’età adulta. Non esistono altre imprese in cui i giovani imparino a svolgere un mestiere fatto di così tante competenze; i figli degli industriali imparano a fare l’industriale, ma non a fare al tempo stesso l’operaio, l’amministratore, il venditore e l’assistente tecnico. Una macabra battuta, prendendo spunto dall’attuale costo del metano, dice che siamo alla canna del gas, ma questo non deve portarci a rinunciare alla carne di qualità mettendo in difficoltà noi stessi e chi la produce. Piuttosto, se dobbiamo risparmiare il gas, mangiamo carne cruda: e qui la Piemontese non teme confronti.