Coalvi con dignità di stampa

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Che l’allevamento della Piemontese si distacchi dallo stereotipo che alberga nella mente dei detrattori della zootecnia è cosa certa, ma fino a poco tempo fa non dimostrata con dei numeri. La svolta, in questo senso, è arrivata con la pubblicazione del bilancio di sostenibilità nel quale sono stati esposti i dati rilevati nelle 1300 aziende aderenti al Coalvi e i risultati ottenuti dalla loro elaborazione.

Molte cose erano già note, ma prima d’ora non erano mai state quantificate: le aziende sono tutte a conduzione familiare, con un elevato rapporto tra il terreno coltivato e gli animali allevati e con grandi estensioni a prato o a pascolo. Fattori, questi, che concorrono a rendere solido il settore e a evidenziarne il contributo sociale, ambientale e paesaggistico. Ciò che però ha dato una svolta decisiva nell’interpretare il rapporto tra questa attività e l’ambiente in cui si sviluppa è quanto emerso nel bilancio del carbonio e in quello della CO2 equivalente, con risultati che hanno irrimediabilmente azzoppato il cavallo di battaglia dei nemici della zootecnia; quanto meno della “nostra” zootecnia. I due bilanci si chiudono infatti con numeri che dimostrano che, grazie a come sono strutturate le aziende in cui si alleva la Piemontese, il loro contributo nell’emissione di gas a effetto serra è opposto a quello che da più parti si sente declamare. Le colture agricole che vengono condotte per ottenere i foraggi e i cereali da somministrare agli animali assorbono infatti più anidride carbonica di quella emessa dagli animali stessi e dalle attività connesse alla loro gestione.  Le nostre aziende passano dunque dall’accusa di inquinatori al merito di depuratori e questo non può che essere motivo di soddisfazione. Ma a questa soddisfazione se ne aggiunge un’altra, di spessore diverso ma non per questo meno appagante. L’analisi dei flussi di carbonio che ha portato a questa conclusione è stata condotta con un metodo che non segue la logica del LCA (Life Cycle Assesment) che viene seguita per valutare l’impatto dei processi industriali. I processi agricoli, infatti, a differenza di quelli industriali combinano la sottrazione di risorse con la restituzione di elementi che concorrono a ricostituirle. Un esempio che rende facile l’interpretazione di questo concetto lo troviamo nel letame che è un sottoprodotto del ciclo produttivo degli animali che ritorna nel terreno come nutrimento per le coltivazioni da cui si ottengono i foraggi per nutrire gli animali stessi. Seguendo questa logica si comprende come la quantificazione degli “scarti”, così come vengono intesi in un processo industriale, non sia applicabile in una valutazione di impatto ambientale di un’attività agricola.

Il bilancio del carbonio e della CO2 nelle aziende dove si alleva la Piemontese è stato elaborato dal prof. Biagini, del Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Torino, creando un modello innovativo che non ha mancato di destare l’interesse del mondo scientifico, al punto da essere oggetto di un articolo pubblicato su “Science of the Total Environment”, una delle più importanti riviste del settore. Ciò che rende ancor più premiante questo evento è il fatto che questa rivista non è specializzata nel settore zootecnico bensì in quello della tutela dell’ambiente e quindi l’apprezzamento per questo approccio innovativo, che di fatto ha derubricato la posizione dei nostri allevamenti, è tutt’altro che partigiano.

Sottolineando il merito del prof. Biagini, e la nostra riconoscenza per il lavoro che ha svolto, non possiamo nascondere la soddisfazione di aver contribuito a fornire i dati per il raggiungimento di questo risultato.